
La peste è un romanzo dello scrittore francese Albert Camus, del 1947. Egli è stato uno scrittore, saggista, filosofo, drammaturgo, giornalista e attivista politico francese. Nato a Dréan, il 7 novembre 1913 e morto a Villeblin, il 4 gennaio 1960. Fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1957. Si ammalò di tubercolosi e per molti anni combattè, la sua vita terminò però, a causa di un fatale incidente stradale.
L’opera di cui si parla, è inserita nel “Ciclo della Rivolta”, che fa parte della produzione dello scrittore. E fin dagli inizi, riscosse un immediato successo, con più di 160.000 copie vendute, nei primi due anni di pubblicazione.
Il romanzo è scritto secondo una dimensione corale, con una scrittura che lambisce e supera la confessione, esso è un romanzo attuale e vivo. Una metafora in cui il presente continua a riconoscersi.
Il capolavoro di Camus racconta il dilagare di un’epidemia di peste che si manifesta in un tempo non precisato degli anni ’40 del secolo scorso, in una città dell’Algeria, Orano.
Il testo è costruito per creare la rappresentazione di uno stato di allarme che si dispiega in tutte le sue fasi, a partire dalla sottovalutazione e dall’incredulità iniziali fino ad arrivare, attraverso la serrata analisi psicologica dei personaggi che ripropongono la vasta gamma di emozioni, sentimenti e passioni dell’essere umano, alla constatazione di una possibile via d’uscita. Tutte le dinamiche interpersonali, affettive, politiche, economiche, che si verificano nella situazione di epidemia e quarantena sono messe in campo.
Camus parla dell’esilio, che in questo caso è la separazione dagli affetti, la privazione della libertà, parla della paura della morte e dell’impotenza umana di fronte alle catastrofi naturali. Parla anche del coraggio, della consapevolezza, cui si perviene soltanto con il dubbio circa le verità acquisite, della giustizia, della risposta individuale di fronte ad un male collettivo e della speranza, una speranza che può riportare ad “essere felici insieme agli altri”. Tutti gli aspetti presi in esame sono considerati dal punto di vista prettamente umano e questa è una peculiarità di Camus.
Fondamentale inoltre è il suo spessore filosofico – esistenziale del testo. Il morbo della peste, come è noto, è la rappresentazione simbolica del Male. Pubblicato nel 1947, a ridosso della fine della seconda guerra mondiale, il testo mette in scena la peste quale metafora del nazional-socialismo appena sconfitto, ma anche in quanto emblema di ogni tipo di male che in ogni epoca storica è in grado di minacciare l’umanità. Il problema del Male, che assume anche tratti metafisici, è il grande problema di fondo che caratterizza lo scenario della Peste. In risposta alla consapevolezza dell’esistenza del male, Camus crea il docteur Rieux, il personaggio adatto a veicolare la forza del suo pensiero. Rieux è colui che sa opporsi, attraverso la razionalità della scienza e la tenacia della scelta individuale, all’assurdità del male. Per mezzo del confronto di Rieux con gli altri personaggi, Camus, accanto al problema del Male, affronta il problema della morte, della sofferenza inutile degli innocenti, della religione cristiana e di Dio. Camus sottolinea con forza la necessità del dialogo permanente tra atei e cristiani. Il cristiano chiama “Dio” ciò che non capisce, mentre l’ateo lo definisce “Assurdo”, entrambi, però, condividono la stessa tragica condizione di vita terrena, entrambi sono sottoposti al Male. È, pertanto, nella prospettiva della lotta contro il Male, della Rivolta, che tutti i “fratelli” umani si devono stringere sotto il segno della Solidarietà. La Caritas cristiana si tramuta in solidarietà umana e Rieux, grazie alle parole dell’amico Tarrou, assume i caratteri del “santo laico”, del “tipo” d’uomo capace di combattere, all’interno della rivolta collettiva, il male e l’assurdo. Anche la visione del predicatore Paneloux, che considera la peste come “la punizione divina” contro i peccati dell’umanità, subisce un ribaltamento, una volta posta di fronte all’inutilità della sofferenza dell’innocenza torturata, e qui pensiamo alle atrocità della malattia imposte al figlio del giudice Othon. Per Rieux / Camus è meglio non credere in dio piuttosto che credere in un dio che tace e che permette al male di manifestarsi con una violenza inaudita.
Anche prima di “questi strani giorni”, la Peste custodiva il suo alto contenuto di senso, quindi non è l’attualità che dà valore al libro, bensì il contrario. Si dovrebbe, pertanto, ribaltare la prospettiva: non sono i libri ad essere attuali, ma sono gli eventi storici, fausti ed infausti, che si ripetono ed è dai libri che possiamo ricavare una lezione di senso, quel senso che secondo la Peste è collocato nella solidarietà e nella lotta umana contro l’assurdo.
La Peste di Camus ci insegna sicuramente a non essere complici del male, a recuperare, quindi, dei valori nei momenti di maggiore criticità, a non considerarsi per sempre al sicuro, perché, come scrive Camus nell’epilogo del suo libro, il morbo della peste può celarsi per un tempo a noi sconosciuto per poi risvegliare i suoi ratti e mandarli a morire in una città felice. Può quindi tornare e diffondersi ovunque. Ciò vuol dire che nessuno si può salvare senza la solidarietà dell’altro.
“Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po’ di retorica. Nel primo caso l’abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio.”