L’arte di legare le persone

Autore: Paolo Milone, Editore: Einaudi, Collana: Supercoralli, Anno edizione: 2021, In commercio dal: 19 gennaio 2021

Se vedo qualcuno che si sporge,

offro la mano per non farlo cadere,

e mentre lo tengo gli chiedo cosa vede.

Sono un vigliacco:

io guardo l’abisso con gli occhi degli altri.

Così descrive il suo lavoro Paolo Milone, psichiatra di lunga esperienza, da anni impiegato in un reparto di Psichiatria d’urgenza a Genova, il reparto 77, ambientazione della maggior parte delle vicende raccontate. Questo è il suo primo libro, uscito nella collana “Supercoralli” di Einaudi a gennaio 2021.

Milone racconta in prima persona le difficoltà della malattia mentale, per chi le vive e per chi se ne occupa lavorativamente.

La narrazione è un susseguirsi di brevi paragrafi in cui si alternano le storie dei pazienti, dei colleghi, la vita professionale e personale del protagonista, il tutto in un flusso di coscienza che crea contrasto e dà allo stesso tempo un grande senso di realtà: un attimo prima lo psichiatra è costretto a confrontarsi con il dramma del suicidio di una ragazza che aveva in cura, un attimo dopo deve ricordarsi di comprare il latte prima di tornare a casa per evitare la solita discussione con la moglie.

L’umanità viene messa a nudo, sia quella dei malati che quella dei curanti. Ecco così che in duecento pagine ci imbattiamo nell’esperienza quarantennale di Milone, che con stile essenziale e incisivo ci fa conoscere autolesionisti, manipolatori, depressi, bipolari, euforici, alcolizzati, tossici, paranoici, violenti, schizofrenici, colleghi arrivisti e colleghi saggi, infermieri che durante il turno di lavoro tirano la pasta per gli gnocchi ma hanno la saggezza di chi sa riconoscere  al primo sguardo come agire con un paziente critico.

Milone narra con ironia la complessità nel destreggiarsi con “l’abisso” e la vita di tutti i giorni e quanto sia complicato, per qualcuno all’esterno, comprenderlo:

Anna, dentro di me c’è l’eco della tragedia del mondo.

Paolo, porta giù la spazzatura

o te lo faccio sentire io l’eco della tragedia del mondo.

Milone propone una visione del suo lavoro desacralizzata, realistica, l’aspetto intimo dello psichiatra è raccontato anche negli aspetti più controversi, da una parte l’interesse per il paziente e la professionalità, dall’altra la fatica umana nel gestirlo:

Lucrezia, da tre mesi mi telefoni tre volte al giorno, per essere sicura che sei viva. Lucrezia, ora vengo lì e ti ammazzo io.

Il protagonista ci racconta una professione dove la sfera emotiva è coinvolta senza possibilità di difesa, dove si crea un’inevitabile vicinanza anche affettiva ai pazienti e non si riesce a lasciar fuori le emozioni degli altri:

Talvolta mi passi un tal senso di solitudine che io, appena finisco il colloquio, devo telefonare a mia moglie; se non la trovo, a mia figlia; se non la trovo, a un amico. Dico: sono io, e poi non so dire perché ho chiamato.

A fare da sfondo è la città di Genova, con il mare e i suoi vicoli.

Il titolo, provocatorio, può essere interpretato in modo duplice. Il “legare le persone” riguarda il dibattito che attraversa la psichiatria sulla necessità di legare o meno i pazienti al letto in situazioni particolarmente complesse: Milone si esprime a favore. Dunque, da una parte la contenzione ritenuta necessaria, dall’altra il legare le persone alla realtà, riportarle a contatto con il mondo, con loro stesse, e l’autore indica che per raggiungere il secondo obiettivo spesso si rende necessaria la prima azione: “legare le persone” non è per l’autore privazione di libertà, ma, anzi, possibilità per il paziente di venire curato e recuperare così la propria capacità decisionale, minata dalla malattia. Riguardo la libertà del paziente, Milone ragiona anche sulla tematica del suicidio in alcune pagine molto toccanti.

L’arte di legare le persone è un libro molto coinvolgente, dove l’autore ricorda che lo psichiatra oltre che un professionista è un uomo, che spesso si ritrova a dover mettere in campo soluzioni inedite, improvvisando competenze che non sapeva di avere, attingendo alla propria esperienza personale, perché «per lo psichiatra la vita è come il maiale: non si butta via niente»; un uomo che deve fare i conti con le difficoltà degli altri dominando le sue e che, come affermato ironicamente da Milone, «dopo aver ascoltato tutta la settimana i problemi dei suoi pazienti, la domenica può finalmente ascoltare quelli dei suoi amici».

Il Maestro e Margherita

Titolo originale: Мастер и Маргарита, Master i Margarita, autore: Michail Bulgakov, prima edizione originale 1966-67, prima edizione italiana 1967. Immagine della copertina edita da Mondadori, edizione in commercio dal 2016, collana Oscar Moderni.

(Citazione dal Faust di Goethe, epigrafe de Il maestro e Margherita)

«Ma allora chi sei tu, insomma? Sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene»

La città di Mosca è stata scelta da Satana come sede per la festa di primavera. Ecco perché un giorno appaiono in città un tale Woland (Satana stesso) e il suo caratteristico seguito. Il loro arrivo in città e il desiderio di Woland di studiare i suoi cittadini, causa fra i moscoviti un grande scompiglio, insieme a due morti e diversi ricoverati all’ospedale psichiatrico. Margherita Nicholaevna accetta di diventare una strega e di fare la “regina” della grande festa, con la speranza in questo modo di poter salvare il suo amato Maestro, da tempo in ospedale per una grave depressione, in seguito alla mancata pubblicazione del suo romanzo su Ponzio Pilato e gli ultimi giorni di vita di Gesù e all’azione denigratoria nei suoi confronti da parte di letterati invidiosi. Con una fantasia smisurata e una satira pungente, l’autore descrive il sistema politico sovietico dell’epoca, oppressivo e persecutorio e il livello di degenerazione dell’elite letteraria, esclusivamente preoccupata a mantenere i propri privilegi.

Ebbene, me lo aspettavo. Mi aspettavo tutta la magnificenza di questo libro, di cui, a mio parere, non si parla abbastanza. Una storia così intensa, così piena zeppa di significati nascosti dietro ad eventi improbabili, da rimanerne per un attimo interdetti e rintronati. Quando ho girato l’ultima pagina, un’infinità di cose mi frullavano per la mente. Non riuscivo a capacitarmi di questa fantasia mischiata a cruda realtà, e per gli ultimi due capitoli ho avuto la pressione alta, e non scherzo. Ero percossa da brividi, perché tutta l’ironia palpabile e piacevole si placa a circa pagina 360, o giù di lì. Non farò rivelazioni scioccanti sulla storia, perché non voglio rovinare nulla. Sappiate solo che è un libro da leggere. Uno di quei libri, che, oltre a farti capire le debolezze dell’essere umano, le sue eterne paure -tra cui spicca la Morte-, può farti viaggiare nel tuo mondo, il vero mondo, e portarti un poco più al di là, ma non troppo, il mistero non si può svelare e deve rimanere tale.

Probabilmente la migliore edizione in commercio grazie alla magistrale traduzione di Maria Serena Prina, alle note biografiche e bibliografiche, alla postfazione di Igor Sibaldi con il racconto incompiuto “All’amico segreto” e la lettera “Al Governo dell’URSS”, inviata da Bulgakov a Stalin. Per meglio comprendere un capolavoro del Novecento che non è, come molti pensano, un romanzo d’amore.

Le maestose rovine di Sferopoli

Le maestose rovine di Sferopoli, di Michele Mari, Editore: Einaudi, Collana: Supercoralli, in commercio dal 21 settembre 2021

Benvenuti a Sferopoli. Il visitatore che dopo aver percorso la Strada Provinciale 921 si perde in queste lande dovrà armarsi di coraggio, mettere in sonno la ragione e accettare il fascino sinuoso dell’ignoto.

Destabilizzante. Se il racconto fantastico introduce un elemento altro – spesso inquietante – nella nostra realtà, trasformando la quotidianità in qualcosa di nuovo, Le maestose rovine di Sferopoli con i suoi racconti irride la falsa convinzione che ormai si sia già detto e scritto tutto. Michele Mari ci ha abituati a festeggiare l’uscita di ogni sua opera come una grande prova di intelligenza e acume, passione per la lingua italiana e, al tempo stesso, sfida ai generi e alle convenzioni letterarie. Anche questa raccolta, che ospita alcuni racconti già editi in rivista e in volume e altri inediti, è da centellinare, perché alla fine di alcuni racconti vi capiterà di sentirvi estremamente compiaciuti e di volerli rileggere. E dire che non è una lettura facile! Forse è proprio questo ospitare tanti doppifondi o il gusto per lo spiazzamento finale a far nascere il desiderio di tornare sulle pagine, di riguardarle, con l’ansia di aver perso qualcosa. E, abracadabra, non solo scoprirete di aver perso qualcosa, ma alla fine della seconda lettura vi verrà in mente di tornare sul testo almeno per una terza volta, convinti che vi riserverà altre sorprese.

Insomma, proprio come le maestose rovine del titolo, ogni racconto è cangiante e pieno di opportunità per riflettere sulla letteratura, sulla lingua, sul genere che Mari abbraccia fintamente, spesso scardinandolo dall’interno. Ad esempio, nel bellissimo Tema in III C, Michele Mari ci presenta un maestro alle prese con la correzione svogliata dei temi dei suoi allievi e dei brevi commenti di critica letteraria scritti dai compagni: simulando la scrittura di giovanissimi studenti un po’ sgrammaticati, ma con le idee ben chiare, Mari esplora i paradossi del genere del racconto fantastico e dell’horror, infilando qua e là l’occasione per strapparci un sorriso. È così che dalla trattazione metaletteraria, camuffata da “temino” scolastico, passiamo poi al fantastico, perché alla fine del brano avverrà un’irruzione inattesa nella vita del maestro.

O ancora, nel dialogo Il buio, un padre e suo figlio parlano del buio e delle ragioni per cui è normale averne paura. Si tratta di un botta e risposta serrato, privo di qualsiasi pausa descrittiva o passaggio narrativo, scelta che alimenta un’immediatezza totale, fino a un finale sorprendente.

Talvolta è la malattia mentale a ispirare i racconti, come in Scioncaccium, un racconto in cui è il monologo di G., un paziente del nosocomio di Gavirate, a gettarci nella furia dell’invenzione onomastica, spiegata in un turbinio di pensieri e fantasia.

Come nella più classica delle tradizioni fantastiche, non manca l’arrivo di creature altre, inventate o appartenenti ad altri mondi. Possono esserci golem dotati di vita (in Argilla), teschi parlanti (Il teschio del Capitano), fantasmi che si ripresentano dal passato per raccontare la storia (Bruttagosto), scarpe “magiche” che influenzano profondamente la realtà della loro proprietaria (Scarpe fatidiche),… I sogni, manco a dirlo, sono una vera e propria porta per l’irruzione del caos nella realtà, e non solo nell’immaginazione (Oniroschediasmi).

Dove il racconto pare realistico, si presentano poi elementi che lo mettono in crisi, toccando il gusto per il paradossale, con dialoghi immaginari tra personaggi del passato (Dialogo fra Leopold Mozart, Wolfgang Amadeus Mozart e un venditore di formaggi), vizi che si fanno ostinazioni senza senso (L’ultimo commensale), una competizione che diventa letale (Boletus edulis),…

In tutto il mondo di Sferopoli, tempo e spazio diventano fluidi, valicabili, così come il confine tra realtà e immaginazione è labile. La letteratura stessa si fa chiave di lettura del mondo, fonte per giochi letterari più o meno arditi, riscritture parziali di capolavori, tra divertissement e manifestazioni di acuta ironia.

Cosa chiede ai lettori Michele Mari? Tanta predisposizione a sospendere l’incredulità, un dizionario a portata di mano (qualche volta vi servirà, vedrete!), una buona cultura letteraria per cogliere i riferimenti intertestuali e la sana capacità di divertirsi davanti a testi colti, che non significano mai solo quello che mostrano sulla pagina.

«”Le maestose rovine di Sferopoli” fa l’effetto di un viaggio in aereo. È sospeso, spaventoso, elevatissimo e tecnicamente strabiliante» – Nicola H. Consentino, la Lettura – Corriere della Sera

«Un libro di Michele Mari è un’avventura nel regno del mondo letterario, dove scrittori diversi si intrecciano e le nevrosi private si trasformano in arabeschi immaginativi.» – Matteo Palumbo, Alias – Il Manifesto

Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi

Titolo originale: Liquid love, On the Frailty of Human Bonds, Autore: Zygmunt Bauman, 1°edizione: 2003, Copertina Editori Laterza (Bari – Roma), 2006, Traduzione a cura di Sergio Minucci

Da una mancanza d’amore individuale, ai problemi della globalizzazione mondiale.

Straordinaria la capacità di Bauman di carpire l’essenza delle dinamiche dell’uomo moderno. Un viaggio di chi ama questo mondo e vuole fare da ponte tra i vari ambiti della società.

Dal Grande Fratello, alle riviste di gossip, dalle rubriche di sessuologia dei giornali di tendenza, allo studio delle nuove tendenze architettoniche metropolitane. Una analisi particolareggiata della situazione “liquida” in cui galleggia l’uomo contemporaneo, ma soprattutto una sintesi: ovvero l’origine di tutte le incomprensioni e di tutte le paure: l’omissione di amore, un amore che diventa sempre più liquido, incorporeo, una solitudine che diventa paura e che pian piano distrugge ogni legame con l’altro. Non posso amore se non sono stato amato, così nel veloce ritmo dei discorsi sui social network, nella solitudine della propria stanza, o di una prossimità fisica con persone non collegate (lontane), si propaga una spirale di diffidenza nei confronti dell’umano che non si conosce più.

Il pensiero dei grandi della filosofia, accanto ai nuovi pensatori moderni. Gli articoli del sabato sera, inquadrati in uno scenario morale moderno, mostrano un chiaro esempio della decadenza della società contemporanea. Ma nell’evidenziarla, creano un punto di partenza che può far riprendere in mano all’uomo le redini della storia occidentale, ormai globale.

Ripete più volte: “Non esistono soluzioni locali, a problemi globali”. Non possiamo delegare all’ambito giuridico, sempre più localizzato all’interno della triade territorio/nazione/stato, un impulso che invece appartiene alla sfera culturale.

“La solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale. In una relazione puoi sentirti insicuro quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia. Finché dura, l’amore è in bilico sull’orlo della sconfitta. Man mano che avanza dissolve il proprio passato; non si lascia alle spalle trincee fortificate in cui potersi ritrarre e cercare rifugio in caso di guai. E non sa cosa lo attende e cosa può serbargli il futuro. Non acquisterà mai fiducia sufficiente a disperdere le nubi e debellare l’ansia. L’amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile.”

-Corrado Augias

Circe

Circe, Autrice: Madeline Miller, 1°Edizione originale 10 aprile 2018, in copertina con la traduzione di Marinella Magrì, Marsilio (Universale Economica Feltrinelli), 14 gennaio 2021

«Miller ci fa scoprire una donna dimenticata e smarrita, tanto diversa dalla tradizione omerica sulla maga seduttrice. C’è invece una Circe, anche lei esule ma in un’isola (Eea), che combatte contro il suo destino di “donna sola”, attratta “dalla fragilità dei mortali”, afflitta dal disagio dell’immortalità» – Pasquale Chessa, Il Messaggero

Nonostante siano passati quasi dieci anni dalla fine del percorso liceale, il mio personale interesse per la mitologia greca non si è mai affievolito, e quando posso, mi dedico a ricercare romanzi, saggi o articoli che rimandano ad una tematica che tanto mi affascinava allora, così come oggi.

Di Circe, ho cercato prima informazioni sul web, verificando così se fosse un libro che avrebbe potuto attirare la mia curiosità, subito mi ha colpito il fatto che l’autrice Madeline Miller, aveva già scritto un romanzo inerente la mitologia greca “La canzone di Achille”, testo che l’ha consacrata alla fama e le era valso il premio Orange Prize, celebre premio britannico assegnato da una giuria femminile esclusivamente ad autrici femminili, nel 2012.

Ci sembra di sapere tutto della storia di Circe, la maga raccontata da Omero, che ama Odisseo e trasforma i suoi compagni in maiali. Eppure esistono un prima e un dopo nella vita di questa figura, che ne fanno uno dei personaggi femminili più fascinosi e complessi della tradizione classica.

“Nacqui quando ancora non esisteva nome per ciò che ero. Mi chiamarono ninfa, presumendo che sarei stata come mia madre, le zie e le migliaia di cugine. Ultime fra le dee minori, i nostri poteri erano così modesti da garantirci a malapena l’immortalità. Parlavamo ai pesci e coltivavamo fiori, distillavamo la pioggia dalle nubi e il sale dalle onde. Quella parola, ninfa, misurava l’estensione e l’ampiezza del nostro futuro. Nella nostra lingua significa non solo dea, ma sposa.”

Circe è figlia di Elios, dio del sole, e della ninfa Perseide, ma è tanto diversa dai genitori e dai fratelli divini: ha un aspetto fosco, un carattere difficile, un temperamento indipendente; è perfino sensibile al dolore del mondo e preferisce la compagnia dei mortali a quella degli dèi. Quando, a causa di queste sue eccentricità, ed ad un incontro significativo con il titano Prometeo, il quale rubò il fuoco agli Dei per darlo al genere umano e la sua azione, che avvenne in antitesi a Zeus ed è posta ai primordi dell’umanità, rappresenta l’origine della condizione esistenziale umana. Nella storia della cultura occidentale, Prometeo può essere considerato un simbolo di ribellione e di sfida alle autorità o alle imposizioni, così anche come metafora del pensiero e archetipo di un sapere sciolto dai vincoli del mito, della falsificazione e dell’ideologia. Cosicché la dea finisce esiliata sull’isola di Eea, non si perde d’animo, studia le virtù delle piante, impara a addomesticare le bestie selvatiche, affina le arti magiche. 

Ma Circe è soprattutto una donna di passioni: amore, amicizia, rivalità, paura, rabbia, nostalgia accompagnano gli incontri che le riserva il destino – con l’ingegnoso Dedalo, con il mostruoso Minotauro, con la feroce Scilla, con la tragica Medea, con l’astuto Odisseo, naturalmente, e infine con la misteriosa Penelope. Finché – non più solo maga, ma anche amante e madre – dovrà armarsi contro le ostilità dell’Olimpo e scegliere, una volta per tutte, se appartenere al mondo degli dèi, dov’è nata, o a quello dei mortali, che ha imparato ad amare.

“Un tempo pensavo che gli dèi fossero opposti alla morte, ma adesso vedo che sono più morti che altro, perché sono immutabili, e non possono trattenere nulla nelle mani.

Una vita come tante

Titolo originale: A Little Life, Autrice: Hanya Yanagihara, Prima pubblicazione: 2015, 1°Edizione italiana: 2016, Editore: Sellerio Editore Palermo, Genere: Romanzo, Romanzo di formazione, Narrativa domestica

Dalla pag. 940 del romanzo:

La vita è così triste, pensava in quei momenti. E’ così triste, eppure continuiamo a viverla, tutti: le resistiamo attaccati, tenacemente, cercando qualcosa che ci offra un po’ di sollievo.

In questo giovedì così uggioso, finalmente ho la possibilità di recensire l’ultimo libro che ho letto, e onestamente che fatica, ma anche che sollievo averlo terminato. Un bel tomo di 1094 pagine, che però devo confessare, non ho mai trovato un romanzo più facilmente leggibile e con una scrittura così scorrevole e affascinante.

Un plauso enorme va all’autrice. Hanya Yanagihara, classe ’74, nata a Los Angeles, ma con origini hawaiane. Laureata presso lo Smith College, università privata femminile ad indirizzo artistico. Si trasferisce nel ’95 a New York, per diventare una giornalista pubblicista. Dal 2015 lavora per T: The New York Times Style Magazine.

Il suo primo romanzo, The People in the Trees, è ispirato alla storia del virologo Daniel Carleton Gajdusek, ed è stato acclamato come uno dei migliori romanzi del 2013. Nel marzo 2015 viene dato alle stampe il secondo romanzo di Yanagihara, Una vita come tante, che riceve ottime critiche da parte della stampa e un successo inaspettato. Il 15 settembre 2015 il romanzo entra tra i finalisti del Man Booker Prize. Successivamente, viene selezionato come finalista anche del National Book Award.

Si tratta senza alcun dubbio del fenomeno letterario di questo 2022. Il meraviglioso romanzo Una vita come tante di Hanya Yanagihara. Sicuramente, è stato uno dei libri più chiacchierati degli ultimi anni, ricevendo ottime critiche dalla stampa e dal pubblico e anche un certo tam tam sui social network, che ha contribuito al suo successo.

Il protagonista assoluto del romanzo è Jude, di cui inizialmente si conosce pochissimo. Gli stessi suoi amici, Willem, Malcom e JB, non sanno chi sia. Non lo vedono mai con nessuno, non sanno da dove viene, di che genere sia, eterosessuale, omosessuale, magari post-sessuale, post-razziale, post-identità. Jude è il Post-Uomo, un essere umano che ha perso le sue caratteristiche. Il fisico stesso ha perso le sue caratteristiche iniziali, qualche mostro del passato lo ha reso zoppo, perennemente in sofferenza, talvolta bisognevole di una sedia a rotelle, continui e insopportabili sono gli attacchi di dolore che lo colgono, che lo stringono a terra.

Jude ha dentro di sé una creatura viva – lui la immagina piccola e irsuta come un lemure – vigile e pronta a scattare, con i suoi occhi scuri e lucidi costantemente rivolti all’orizzonte in cerca di potenziali pericoli. La creatura si rilassa e si accascia al pavimento soltanto quando ha superato un’altra giornata, quando è stata capace di non rivelare ancora nessuno dei suoi segreti. Solo allora merita di riposare e prepararsi a un’altra giornata da trascorrere nel mondo.

Tempo dopo, come per confortarlo, gli smentiscono la notizia; non era stato trovato dentro a un bidone della spazzatura, ma vicino. Ed è lì che, al lettore, sembra essere nato Jude. Non dal grembo di una madre, ma dalla putrescenza, partorito da una nube fatta della cattiveria degli uomini. Nato per canalizzare e far esprimere il loro male che sembra sempre raggiungere l’apice, ma che sorprendentemente non viene mai raggiunto. 

Il romanzo è un susseguirsi, nel presente, di eventi dolorosi, che ledono ogni umana dignità, ma anche il racconto a specchio della vita precedente di Jude che fa luce, per quanta luce possa esserci in un testo del genere, sul perché si è arrivati a ricercare la solitudine dell’anima, condizione preferibile a qualunque altra sensazione, e a provare conforto nel rendere a brandelli la propria pelle.

Jude però è anche colui che canalizza l’amore, è il centro indiscusso delle attenzioni dei suoi amici: Willem l’attore, JB l’artista e Malcolm l’architetto. Condividono le loro vite dai tempi del college, in una cittadina del New England, a quando poi decidono di spostarsi, sempre insieme, a New York. Per Jude loro hanno uno speciale riguardo, fatto di estrema dedizione e sensibilità. Lo curano in punta di piedi, con il timore di premere troppo e scalfire l’involucro sbriciolante che lo riveste. Lo stesso Jude prova a prendersi cura di sé, o almeno ha immaginato che potesse farlo scegliendo la facoltà di legge e decidendo di diventare il migliore degli avvocati, per procurarsi gli strumenti necessari a proteggersi ed essere sicuro che nessuno potesse più fargli del male. Jude si sente in colpa nei confronti dei suoi amici, perché non è in grado di ricambiare il loro amore, né con affetto e né con del denaro, ma riconosce l’importanza dell’amicizia e l’effetto benefico che ha su di lui. «Poi sono andato al college e ho conosciuto persone che, per qualche motivo, hanno deciso di diventare miei amici, e mi hanno insegnato… tutto, a dire il vero. Mi hanno reso, e continuano a rendermi, una persona migliore». L’unico atto di riconoscenza che può permettersi nei loro confronti è quello di insegnare l’amicizia a Felix, un giovane ragazzo in cui si riconosce e a cui dà ripetizioni.

Dei tre amici, Willem è sicuramente quello che ha un ruolo più importante, sia perché è descritto come la persona che tutti meriteremmo di avere al proprio fianco, sia perché diventa il compagno di Jude. Le pagine che descrivono il loro amore sono le più belle e le più potenti e sono quelle che più mi hanno dato modo di riflettere sul significato dell’amore, sulle sue possibilità e sui suoi limiti. L’amore che Willem dona a Jude rappresenta il vero primo amore che Jude riceve, e questo altera inevitabilmente ogni cosa, con i continui tentativi di scoperchiare il passato e aprire gli armadi degli scheletri. Jude non è abituato, non lo riconosce, il suo corpo rifiuta l’amore e i momenti di felicità che da esso ne derivano. Ogni gesto di Willem gli causa un continuo tormento e il rifiuto. Non è in grado di dare un valore equilibrato all’affetto e ai gesti, non riesce a discernere dal perché questi vengono fatti e dal perché poi non vengono fatti; ogni cosa è processata dalla sua disfunzione. Sul piano sessuale è ancora peggio, perché Jude odia il sesso, lo odia dal momento in cui questo lo ha imputridito da capo a piedi, violentemente e senza nessuna umanità. Willem avrebbe potuto mollare tutto, ma non lo fa, così ne parlano e cercano un modo per amarsi, nonostante le difficoltà. Capiscono che in ogni relazione c’è qualcosa di incompiuto e di deludente, qualcosa che va cercato altrove. Ogni relazione non può dare tutto ciò di cui si ha bisogno. Può darti qualcosa. Di tutte le cose che puoi volere da una persona – l’alchimia sessuale, o una conversazione brillante, un sostegno economico, compatibilità intellettuale, gentilezza, lealtà – puoi sceglierne al massimo tre. Il resto devi cercarlo altrove. Nel mondo reale, devi scegliere quali sono le tre qualità con le quali vuoi trascorrere la tua vita, dopodiché puoi cominciare a cercarle. Se continui a pretendere di trovare tutto, finirai per rimanere senza niente. Willem e Jude hanno imparato questo, individuato il meglio che potevano offrire l’uno all’altro ed esserne felici.

E poi c’è Harold che, come lo descrive Hanya Yanagihara, è una di quelle persone che ti straziano il cuore, disposte a compiere un gesto di altruismo in modo disinteressato. Lui e la moglie Julia, infatti, decidono di adottare Jude, anche se lui è ormai adulto, e di diventare a tutti gli effetti i suoi genitori legali. E anche qui, scopriamo riflettiamo su un altro tipo di amore, quello genitoriale. E come per l’amore di coppia che ha previsto la soluzione non ordinaria che l’uno dei due trovasse il sesso oltre all’ambiente casalingo per una maggiore pace, qui troviamo riflessioni che un po’ spaventano sull’essere padri e madri. L’amore per un figlio non è la forma di amore superiore, più importante, più nobile di tutte le altre, ma è un amore che si fonda sulla paura. «Non conosci la paura finché non hai un figlio, e forse è questo che ce lo fa sembrare un amore così straordinario: perché la paura è straordinaria». Da genitori si pensa a quante probabilità di sopravvivenza hanno i figli in questo mondo e si prova sollievo quando un figlio muore e smetti finalmente di avere paura, perché quello che hai sempre immaginato alla fine si è avverato. Ecco, su questo ultimo passaggio sono stato giornate a rifletterci e mi sono detto diamine! forse è vero, ma non devo pensarlo. Oltre a questi pensieri, condivisibili o meno, che sono mine sotterrate tra le pagine, Harold e Julia hanno scelto di amare Jude come loro figlio e, con tutto lo strabordare di emozioni che esso prevede, si sono comportati come i migliori dei genitori, stringendo quella povera anima tra le loro braccia anche quando ad essere invocate erano le mani della violenza.

Era necessaria tutta questa violenza? Hanya Yanagihara aveva davvero bisogno di buttare in “Una vita come tante” questo stillicidio di sciagure e di desolazione? C’era bisogno di alzare in ogni capitolo il livello di dolore che Jude è costretto a sopportare? È una cosa che mi sono chiesta spesso, sia durante la lettura che a fine lettura. E alla fine sono arrivata alla conclusione che la scrittrice ha voluto che fosse così, era esattamente sua intenzione portare all’estremo il male che l’uomo è capace di compiere su un altro essere umano, per rendere così più grande anche il potere taumaturgico dell’amicizia e dell’amore. Credo che la stessa autrice abbia sentito questa urgenza, spingersi sempre oltre, per vivere il dolore, ma anche per emanciparsi da esso. Ho come avvertito che Hanya Yanagihara lo abbia fatto per se stessa, per arrivare in fondo all’anima, anche dietro agli angoli più scuri per raggiungere a una sanificazione, a una nuova versione di sé. Anche nella psicoterapia consigliano, quando abbiamo il timore che qualcosa di brutto possa accadere, di pensare proprio a quella eventualità, focalizzarci su di essa, e talvolta anche pensando a cose peggiori di quanto abbiamo previsto.

Ho vissuto intensamente ogni pagina e non ho mai provato la sensazione di dovermene allontanare, perché nonostante tutto il dolore di inchiostro, questo romanzo è un posto caldo dove essere e restare. La storia di Jude è il centro dove si direzionano i dolori di tutti noi lettori. Non abbiamo vissuto quelle cose, ne abbiamo vissute altre, magari banali al confronto, eppure ci sentiamo vicini a lui, e spesso lo comprendiamo. Questa è una magia potentissima. Ho dovuto chiudere il libro un paio di volte perché avevo bisogno di alcuni secondi di calma e di perdere lo sguardo nel vuoto per assorbire. Una volta che si è entrati nel vortice è difficile riuscire a essere oggettivi su una storia del genere, scritta con così tanta mestizia, ma anche scorrevolezza.

Jude mi è entrato così tanto nel cuore che ho come l’impressione di conoscerlo, anche solo di vista, di poterlo incontrare per strada con la sua camminata claudicante, passeggiare accanto a Willem, in un tempo e in un luogo che non esistono perché infiniti ed eterni. Vorrei anche io poter fare nei suoi confronti uno di quei gesti di altruismo che straziano il cuore, per poter rendere anche la mia piccola vita, a little life, degna del suo dolore.

Persone normali

Titolo originale: Normal People, Autrice: Sally Rooney, Data di pubblicazione: 28 agosto 2018, ed. italiana 2020 a cura di ET Scrittori

«Un grande romanzo su tutto ciò che abbiamo: gli esseri umani che si cercano, e si perdono».
Annalena Benini

I liceali Marianne e Connell iniziano una relazione segreta durante il loro ultimo anno a Carricklea. Lorraine, la madre di Connell, lo ha avuto quando lei stessa era un’adolescente e lavora come donna delle pulizie a casa dalla famiglia di Marianne, cresciuta nella ricchezza ma anche subendo abusi. Marianne non ha nessun amico a scuola, dato che tutti la considerano fredda e strana. Connell al contrario è molto popolare e teme che la sua relazione con Marianne gli rovini la reputazione. Tra i due si instaura un rapporto intimo e profondo, ma il desiderio di Connell di non essere visto con Marianne la ferisce profondamente. La situazione degenera quando Connell invita un’altra ragazza al ballo di fine anno: i due si lasciano e Marianne smette di frequentare la scuola, diplomandosi da casa.

Marianne e Connell si incontrano di nuovo al Trinity College di Dublino, dove la giovane donna diventa una studentessa molto popolare, mentre Connell non riesce a integrarsi con i suoi compagni benestanti. La relazione tra i due diventa ancora una volta fisica e romantica, anche se la loro storia viene rovinata dal fatto che Connell debba tornare a casa per le vacanze estive, dato che ha perso il lavoro e non può permettersi di restare nella capitale. Connell tuttavia non invita Marianne a venire con lui, ferendola ancora una volta. I due si riappacificano durante la messa per il primo anniversario della morte del padre di Marianne, ma la ragazza ormai è impegnata in una relazione con Jamie, un ragazzo a tratti violento. Intanto Connell inizia una relazione Helen, una ragazza piacevole che però non trova all’altezza di Marianne. Marianne e Connell rimangono in contatto per email anche se non riescono più a vedersi molto spesso. Durante l’estate Connell gira per l’Europa con amici e va a trovare Marianne mentre si trova in vacanza a Trieste con Jamie. Durante la permanenza in Friuli, Marianne rompe con Jamie e bacia Connell. Marianne trascorre l’anno universitario seguente in Svezia, dove la giovane frequenta un altro uomo abusivo e violento, l’artista Lukas. Come Jamie, Lukas vorrebbe che Marianne sia sottomessa e si prestasse a qualunque sua fantasia sessuale. Intanto a Dublino Connell fatica a riprendersi dalla notizia del suicidio del suo vecchio amico Rob e sprofonda nella depressione.

Quando Marianne e Connell ritornano a Carricklea dopo la laurea, i due si rimettono insieme ma quando stanno per fare sesso la donna gli chiede di colpirla e Connell rifiuta. Umiliata, Marianne torna a casa, dove il violento fratello Alan le rompe il naso. Connell accorre in suo aiuta e minaccia di uccidere Alan qualora le facesse ancora male. Quando le cose sembrano sistemarsi tra i due, Connell riceve una borsa di studio per una laurea magistrale in scrittura creativa a New York, il che gli permetterebbe di portare avanti le sue ambizioni letterarie. Marianne lo incoraggia a partire senza di lei, anche se questo potrebbe mettere fine alla loro relazione.

Non trovo che ci sia Jane Austen in queste pagine. Ci sono due ragazzi e una relazione. C’è un ragazzo che finge per tutto il libro di essere qualcuno che non è. E se durante l’adolescenza riesce a farlo in modo egregio nascondendosi dietro il suo essere bello e popolare, durante l’università deve fare i conti con il suo essere diverso e con la grande difficoltà di trovare un posto dove sentirsi a suo agio. E c’è una ragazza che è diversa dagli altri. A cui non interessa quello che pensano gli altri di lei o quello che pensano sua madre e suo fratello di lei. Che subisce la cattiveria della sua famiglia e le cattiverie dei suoi compagni di scuola e che una volta arrivata al college in qualche modo sboccia. Trova subito il suo posto e diventa quello che lui era per gli altri nel periodo dell’adolescenza. Diventa lei il centro dell’attenzione. E poi c’è la loro relazione che durante l’adolescenza viene tenuta nascosta per una scelta di lui perchè la desidera ma allo stesso tempo desidera di più che gli altri continuino a vederlo come il ragazzo vincente e stare con lei potrebbe offuscare questa immagine, e durante il college invece viene vissuta alla luce del sole forse perchè è lei la vincente a questo punto della storia. Il libro racconta questa relazione molto disfunzionale tra i due. Lei che lo ama troppo e che non teme di dire ciò che sente e lui che è incapace di amarla davvero ed è incapace di essere del tutto sincero con lei, ma che è consapevole del potere che ha su di lei da sempre. All’inizio la storia è anche piacevole, ma più si va avanti più diventa deprimente. Vedere questa ragazza che lo ama così tanto e vedere come lui la tratta, mai in grado di prendere una decisione che possa rendere felici entrambi, sempre un passo indietro, grato che sia lei a fare la storia. Un uomo debole, narciso ma anche insicuro e una donna forte che vorrebbe solo essere amata. E tutto questo fino alla fine. Non penso che queste siano persone normali.

Una piccola curiosità: La BBC Three ha prodotto un adattamento televisivo del romanzo, intitolato Normal People ed esordito sulla BBC Three il 26 aprile 2020. La serie TV è stata accolta positivamente dalla critica e ha ricevuto tre candidature ai premi Emmy.

Un amore senza fine

Titolo originale: Endless Love, Autore: Scott Spencer, Anno di pubblicazione: 1979

Amato e rispettato da scrittori, critici e lettori, “Un amore senza fine” è una potente, viscerale meditazione sulla passione che diventa l’unico motore di una vita. Tradotto in venti lingue, ha ispirato due dei film meno riusciti della storia del cinema (secondo alcuni commentatori), di cui il più noto è quello di Franco Zeffirelli. Al centro del romanzo è la discesa negli inferi di un sentimento assoluto, la storia trascinante, furiosa, di forte ed esplicito erotismo di David Axelroad e Jade Butterfield, due ragazzi consumati dallo stupore dell’intimità e dell’attrazione reciproca. David e Jade non sembrano rendersi conto di quanto il loro rapporto, il desiderio, la sessualità, siano difficili da comprendere per chi sta loro attorno. Quando il padre di Jade allontana David dalla propria casa, il ragazzo immagina un piano per riguadagnare la fiducia dei genitori di lei. Ciò che segue è un incubo, l’immersione in un’oscurità in cui le emozioni di David sono un crimine e una malattia, un mondo di telefonate anonime, lettere folli e senza speranze, baratri e timori, alla ricerca costante, inevitabile, quasi punitiva dell’unica cosa che davvero conti per David: l’amore della sua ragazza e della sua famiglia.

Se l’amore senza fine era un sogno, allora tutti noi lo condividevamo, ancor di più di quanto potessimo condividere il sogno d’essere immortali o di riuscire a viaggiare nel tempo, e se qualcosa mi differenziava da tutti gli altri non erano i miei impulsi bensì la mia testardaggine, la mia disponibilità di portare il sogno oltre quei limiti che erano stati concordati come ragionevoli, a dichiarare che quel sogno non era un delirio della mente ma una realtà altrettanto tangibile dell’altra più tenue, più infelice illusione che chiamiamo vita quotidiana” (pag. 228).

Scrivere di alcuni libri non è facile, abbandonarli lo è ancora di meno.

Amore senza fine, di Scott Spencer è stato chimera per diversi mesi. Quando mi ha avvolta nella sua spirale di riflessione e stati d’animo ho deciso che non poteva lasciarmi la mano così velocemente come gli altri, così l’ho centellinato per circa dieci giorni. L’ho stretto a me, parola per parola, mi è capitato di leggere solo poche righe al giorno talmente potenti da lasciarmi là dentro fino a notte fonda.

È la storia di un singolo, David, è la storia di una vita, di un amore di un’anima in pena che viaggia su binari differenti da tutto ciò che la circonda.

Parole che come fumo avvolgono e intossicano, scatenano quella fame chimica di sensazioni, emozioni disagianti e illuminanti.

Si parla di sentimenti sì, ma la chiave di lettura è nel riflesso di quel ragazzo eccessivo, ossessivo, illuso.

Quando poi arrivi a pagina 228 capisci che non è solo una storia, uno spaccato. È una catarsi, una rivelazione, un’epifania, chiamatela in mille modi, saranno tutti esatti.

Per niente al mondo

Titolo originale: Never, Autore: Ken Follett, Editore: Mondadori, Collana: Omnibus, Data prima pubblicazione: 9 novembre 2021

Più di un thriller, Per niente al mondo è un romanzo ricco di dettagli reali che si muove tra il cuore rovente del deserto del Sahara e le stanze inaccessibili del potere delle grandi capitali del mondo.

iamo nelle vaste e desolate pianure desertiche del Sahel, non lontano dalle sponde del lago Ciad: davanti al lettore sfilano terre arse dal sole, di carovane e di predoni, attraversate dalle rotte di trafficanti e mercanti di uomini, di contrabbandieri e profughi disperati; terre martoriate da scontri sanguinosi o lotte intestine di cui nessuno ricorda più le circostanze causali; terre soggiogate dall’ubiquitaria legge del più forte.

Una processione di villaggi dimenticati da Dio, fieramente popolati da donne e uomini ammutoliti dalla povertà, dove si alternano, in un gioco di dissolvenze, civiltà tra loro lontanissime, anche quando separate da una sottile striscia di polvere.

Il tema del terrorismo e dei traffici illeciti costituisce il chiaro filo conduttore della narrazione di Per niente al mondo, nel quale, d’altronde, allignano loschi intrighi e macchinazioni che dai teatri di guerra del Niger e del Ciad si snodano fino alla Cina, in una sequenza di fotogrammi impazziti che sembrano rincorrersi come altrettanti fibre di una tela che spetterà all’Autore tessere, al lettore decifrare.

Percorrerli significherà mettere in fila, cammin facendo, gli elementi salienti di un’escalation che ha dell’incoercibile, nella quale a battere i pugni sullo scacchiere planetario saranno logiche sganciate da alcuna considerazione per il destino dell’uomo e della fragile casa che lo ospita.

Un congegno infernale messo in moto dall’uomo ma cieco agli umani sogni e bisogni, lanciato in folle corsa verso il baratro della guerra totale, sui cui comandi allungano le mani personaggi sfuggenti come la sabbia del deserto, prigionieri della ristrettezza delle proprie visioni e di coordinate morali da alto medioevo.

Che scientemente decidono, ancora ed ancora, di tenere premuta la mano sul pulsante rosso dell’autodistruzione.

Un carosello sobbollente dove colossali ambizioni geopolitiche, sussurrate in un filo di voce tra le mura dei palazzi del potere dove si decide il destino di interi popoli, si saldano ad oscure mire economiche, serpeggianti all’estremo limitare del campo visivo di un’opinione pubblica distratta a morte.

La prima storia ha per protagonista Pauline Green, presidente USA, femminista e determinata, madre di un’adolescente ribelle, Pippa, moglie di Gerry, con cui ha una relazione stabile e rassicurante, nella sua ripetitività. Oscuramente attratta dal suo braccio destro, Gus, Pauline si troverà a dover mettere alla prova le sue competenze diplomatiche nel corso del romanzo, perché gli Stati Uniti sono l’ago della bilancia internazionale e hanno gli occhi di tutti i media e di tutto il mondo puntati addosso. Nel frattempo, dovrà prevedere e controbattere agli attacchi del suo avversario politico, machista e ottuso, ma appoggiato da una fetta preoccupante dell’elettorato (ricorda qualcuno?). 

La seconda storia coinvolge invece un infiltrato della CIA, Abdul, che si trova in Ciad per sventare un traffico di droga e di uomini, ma ha anche un obiettivo personale, che si scoprirà via via. Sul suo cammino, l’uomo incappa in Kiah, giovanissima madre rimasta vedova, determinata a cercare un futuro migliore per sé stessa e per suo figlio Naji. Disposta ad abbandonare il suo villaggio poverissimo sulle rive del lago Ciad, Kiah vuole raggiungere la Francia, trovare un lavoro e ricominciare, ma sa che per farlo dovrà fare riferimento a un gruppo di trafficanti di uomini e dare loro i suoi unici risparmi. Come fidarsi? Abdul, Kiah e Naji intraprendono insieme, anche se per motivi diversi, un viaggio rocambolesco e pieno di colpi di scena, chi verso la verità, chi verso la libertà. A sorvegliare, sebbene a distanza, la missione di Abdul ci sono Tab e Tamara, due agenti in Ciad, ognuno coinvolto da Paesi diversi, ma disposti a collaborare, e non solo per ragioni professionali, dal momento che da subito provano l’uno per l’altra una fortissima attrazione. Il loro passato sentimentale, a dir poco fallimentare, potrà trovare finalmente pace?

La terza storia ci porta in Cina, dove Chang Kai, vice ministro per l’intelligence esterna, figlio “d’arte” (suo padre è l’attuale vicepresidente per la Commissione di sicurezza nazionale, ma anche i suoi avi hanno avuto ruoli politici determinanti), vive con la moglie Ting, attrice famosissima e idolatrata per la serie tv: “Amori a palazzo”. La coppia, passionale, profondamente unita e addirittura in reciproca adorazione, deve però fare i conti con la disapprovazione della famiglia di Kai e con le continue domande su quando avranno figli. Niente sembra scalfire i loro sentimenti, neanche i rischi e i sacrifici a cui Chang Kai dovrà sottoporsi, pur di cercare di ottenere notizie dal suo informatore dalla Corea del Nord. Colpire Ting significa colpire anche Kai, e i suoi avversari politici lo sanno bene…

A questi protagonisti si aggiungono numerosissimi personaggi secondari e comparse, così come le tre ambientazioni qui sopra tratteggiate si alternano ad altre, meno delineate ma ugualmente importanti. Quel che riunirà le vicende, senza fare spoiler, sarà un improvviso incrinarsi dei rapporti internazionali. Avete presente la famosa pallina sul piano inclinato? Ecco, è angosciante la velocità con cui mutano gli equilibri e tutto sembra condurre a una minaccia atomica. Narrativamente questa seconda parte del romanzo è anche la più appassionante, perché la suspense viene tenuta alta al crescere dei livelli di allerta. Serpeggia l’inquietudine, quando leggiamo come, ancora una volta, il carattere dei presidenti, le singole simpatie o antipatie, le paure individuali e collettive, i pregiudizi e la permalosità possano avere un peso determinante su scelte strategiche e tattiche. In gioco, c’è la salvezza o la distruzione del mondo intero. 

In conclusione, se siete amanti della fantapolitica, allora cimentatevi in questo bestseller che, nell’immaginare uno scenario apocalittico, fa riflettere anche sul nostro presente, pur con qualche stereotipo e con qualche scelta politicamente corretta di troppo. 

Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata

Titolo originale: Someone Who Will Love You in All Your Damaged Glory, Autore: Raphael Bob- Waksberg, Editore: Einaudi, Data di pubblicazione: 27 aprile 2021

Questo libro contiene:

1. Un uomo e una donna che saltano tutte le fermate della metropolitana della loro vita in attesa dell’occasione giusta. Due sposi costretti dai parenti a sacrificare caproni per assicurarsi la felicità futura. Uno scienziato che fa avanti e indietro da un universo parallelo in cui ha fatto solo le scelte giuste.

2. E altri quindici racconti pieni di umorismo, romanticismo, stravagante surrealismo e sincerità.

3. Una scatenata comicità che nasconde una verità sgradevole che fingiamo di non vedere che a sua volta cela un’amara ironia che svela il dolore di cui siamo composti che prepara il sorriso dell’accettazione bagnato dalle lacrime per l’essere vivi.

4. Elenchi puntati.

5. Chiunque abbia visto qualche puntata di “BoJack Horseman” sa che il talento di Raphael Bob-Waksberg si sviluppa in una cifra unica, personalissima: quella in cui l’ironia più amara diventa un bisturi affilatissimo che taglia i nodi delle relazioni umane. Le nostre fragilità, il desiderio di essere amati, di essere riconosciuti dall’altro, la nostra ricerca di qualcosa che illumini le ombre che ci portiamo dentro.

6. Leggendo questi racconti preparatevi a essere devastati e ricostruiti pezzo a pezzo. «Le persone si dividono in due tipi: quelle che non vuoi toccare perché hai paura che si spezzino e quelle che non vuoi toccare perché hai paura che ti spezzino». Un uomo e una donna che saltano tutte le fermate della metropolitana della loro vita in attesa dell’occasione giusta. Due sposi costretti dai parenti a sacrificare caproni per assicurarsi la felicità futura. Uno scienziato che fa avanti e indietro da un universo parallelo in cui ha fatto solo le scelte giuste. E altri quindici racconti dal creatore di BoJack Horseman pieni di umorismo e sincerità sul sentimento più bello e su quello piú terribile: l’amore.

Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata è un libro che mi ha incuriosita sin da subito per il suo titolo: ho pensato che con un nome del genere non potesse non essere il libro che facesse per me. Quando poi ho scoperto che questa raccolta di racconti è il primo libro di Raphael Bob-Waksberg, sceneggiatore del celebre Bojack Horseman, serie TV di Netflix di estremo successo che ho amato, ecco che ero già bella che convinta. In Italia è stato pubblicato nel 2021 da Einaudi in un copertina rosa shocking e nella traduzione Marco Rossari.

La raccolta è fatta da storia prese da contesti e forme diverse, con un tema unico, che sembra stridere un po’ con l’umorismo e il cinismo che la pervade: l’amore.

Tra le ambientazioni e i protagonisti di questa raccolta troviamo posti in cui ai matrimoni bisogna fare mattanza di caproni, piuttosto che amori vissuti tutta una vita su due sedili opposti di un treno ma mai confessati, liste di bugie dette da tutti, o amori reali e poi finiti tra due colleghi d’ufficio. Come già detto, questa è una raccolta multiforme che parla di amore in diverse sfumature, dal rosa, al grigio, al nero e molti altri colori. L’autore lo fa con liste, stralci, racconti, poesie, annunci, pièce teatrali; il risultato è un colorato universo, a volte strano, il più delle volte imprevedibile che lascia i lettori disorientati tra le sue pagine.

In questo libro si respira una tragica ironia, cinica con picchi di genialità. Alcuni racconti sono strani e grotteschi, altri al limite del non sense, altri brutali e realistici: una polifonia di voci, di stili, di storie, che trattano in maniera smaliziata, sincera, sprezzante un sentimento tanto complesso come l’amore.

È interessante leggere in Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata la contrapposizione tra un anima romantica e il voler raccontare l’importanza del sentimento e la denuncia della deriva che la nostra società ha preso, con quel filo di sarcasmo costante che non guasta mai. Però attenzione: questo non è un libro che si prende troppo sul serio, quindi c’è di fondo una critica sociale ma sempre raccontata con il sorriso.

Lo stile è piacevole, assolutamente quello che cerco io in un libro così e che stimola il mio gusto personale.
Questo è un libro che alla sua uscita ha destato molta attenzione. E devo essere onesta, per come la gente ne ha parlato mi aspettavo che per me fosse uno dei libri dell’anno. Amo i libri che fanno ridere, che usano la satira e la critica tra un sorriso e l’altro, e davvero sono partita con aspettative altissime prima di leggerlo. Mentre non è stato quello il risultato: ho trovato il libro carino, scorrevole, con tematiche e modi a me affini. Sicuramente si toccano picchi molto alti, c’è perfino un racconto che avrei voluto scrivere io per quanto bello l’ho trovato, ma mi aspettavo un piccolo capolavoro del genere e così non è stato.

Ma ad aspettative ridimensionate e con la lettura alle spalle vi dico che Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata è un libro che comunque consiglierei, non a tutti, ma a chi cerca una lettura leggera, piena di arguzia e di riflessioni intelligenti, corredate da una abbondante mancanza di senso e di cose grottesche lanciate nel mezzo.

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